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Conversazioni su Artisti e Vino

Il Salotto del Tè e i numeri magici del Gong fu cha

By 11 Novembre 2015No Comments
Il Salotto del Tè e i numeri magici del Gong fu cha 1

 

Il metodo Gong fu, o Kung fu a cui viene associata la parola cha che in cinese significa tè è una tecnica elegante e raffinata di preparare il tè come ha spiegato Paolo Candeo de Il Signore del Tè a Montegrotto durante il Salotto del Tè al Caffè Pedrocchi organizzato dalla nostra Associazione.

E’ una specialità della regione cinese del Fujian dove ancora oggi il tè che vi si coltiva è molto richiesto dal mercato interno e internazionale.

Letteralmente Gong fu significa “arte”, “fallo bene”, “metodo”. L’espressione si riferisce anche alle arti marziali e a tutte quelle attività in cui è richiesto tempo e impegno per acquisire una buona padronanza e raggiungere un buon risultato. Esprime modalità di comportamento che richiede un’osservanza di regole precise, come un complesso sistema per preparare tè pregiati.

Solitamente il tè utilizzato per questa cerimonia è del tipo semi-ossidato o Oolong (o Wulong), dalle foglie attorcigliate e più raramente si utilizzano anche tè verdi, purché siano di qualità eccelsa.

Il cerimoniere sistema tutti gli utensili sul vassoio di legno di bambù, prepara e scalda le minuscole tazzine e la teiera, versa lentamente l’acqua bollente sulle tenere foglie nella teiera ed i vapori profumati si diffondono nell’aria. Questa antica cerimonia è meno formale di quella giapponese e ben si presta ad essere osservata anche da persone che non conoscono ancora la cultura del tè.
Gong fu è tempo. Bisogna avere tempo, per degustare appieno un tè. Gong fu è abilità. La capacità di ripetere ogni volta quei gesti immutabili che portano all’infusione perfetta. Gong fu è apprezzamento. Senza passione, senza desiderio di conoscenza, non si apprezza nulla. Nemmeno una semplice tazza di tè.

Per questo ed altri motivi mi fa pensare che bisogna essere in tre. Perché due persone, quando bevono un tè, possono essere d’accordo sul giudizio, ma possono anche avere pareri differenti. Occorre un terzo per dire la sua, confrontarsi, formare un’opinione condivisa.

Tre sono le temperature dell’acqua. I cinesi, poeti immaginifici, non misurano tramite aridi numeri ma usano gli occhi del gambero, gli occhi del granchio, gli occhi del pesce. Ad indicare, in una scala crescente, la dimensione delle bollicine dell’acqua prossima alla bollitura. L’optimum sta in mezzo, quando le bolle non sono ancora grandi e turbinose, e l’acqua comincia appena ad evaporare. 

Tre sono i sensi dell’apprezzamento. La vista, per osservare colore, consistenza, qualità del tè. L’olfatto, per annusare le foglie prima, durante e dopo l’infusione. Il gusto, per infine assaporare, come si farebbe con un vino d’annata – nel tè come nel vino sono presenti i tannini con caratteristiche molto simili al vino non fosse per la componente alcolica -, le sfumature più segrete delle foglie, che di volta in volta cambiano gusto.

20151110_225751La prima acqua bagna appena la pelle del tè. Infusioni brevi, brevissime. Il tempo non si conta con l’orologio, e neppure con la pur romantica clessidra. Si versa un po’ d’acqua bollente sul coperchio della teiera, una elegante e matura ceramica, preferibilmente Yixing, e in una manciata di secondi il coperchio è asciutto: è tempo di mescere il tè. Poi, in un crescendo rossiniano di sapori, ad ogni successiva infusione l’acqua penetra ogni volta di più nell’intimo della foglia, estraendone nuovi gusti, palesando le segrete palette di profumi. Fino ad arrivare all’osso, fino a spremere l’ultimo aroma dal cuore del tè. Dopodiché, il tè va centellinato, sorseggiato piano e con cura. Va trattenuto sotto il palato per qualche secondo con lo scopo di apprezzare al meglio ogni sfumatura del suo sapore.

In questa esperienza sensoriale anche il tatto vuole la sua parte. Tre sono le dita che reggono la tazzina. Calda e leggiadra ceramica, da accarezzare appena. Si porta alla bocca con gesti misurati, con l’abbandono che ispira questo momento senza tempo.

È tè selvatico, naturale, privo di chimica, quello che Paolo Candeo offre, insieme ad un’affascinante ed eterea lezione di degustazione. Tè difficile, che i raccoglitori vanno a scovare, foglia per foglia, arrampicandosi sugli alberi, gerla in spalla. Non gli agevoli arbusti sempre potati ad altezza d’uomo per comodità di raccolta. Tè lasciato libero di crescere come lo vuole la natura. La grazia, la bellezza, la seduzione sono tutte contenute in quella piccola, raffinata, accogliente tazzina. Ma solo sotto la guida di un maestro come Paolo le puoi riconoscere ed apprezzare.

Si conclude così questo concerto di atti semplici. Certo non trasuda religiosità e misticismo come la cerimonia giapponese, ma rimane senza dubbio l’unico rito in grado di esaltare la bellezza, la preziosità e la bontà del tè.

Assistere ad una cerimonia cinese del tè è come carpire l’importanza che assume questa bevanda in Cina, così come la necessità per gli esseri umani di stringersi intorno al fuoco per raccontarsi e sentirsi accalorati.

 

Testo: Simona Pahontu